“Qualunque città, anche importantissima, sarebbe orgogliosa di avere un monumento di tanta importanza, che è il più alto diploma di nobiltà!”. Questa frase veniva pronunciata dall’attuale amministrazione comunale alla notizia del ritrovamento del Teatro Romano? Purtroppo no, veniva detta da un grande storico dell’arte del 1925, tale Corrado Ricci, richiamato d’urgenza per il ritrovamento della “porta della Mandria”, conferma della “romanità” delle mura che a causa di esplosivi e picconi, erano in corso di demolizione nel periodo dal marzo al maggio dello stesso anno! Era infatti successo che la giunta di quel periodo aveva deciso di far lavorare i disoccupati con dei lavori di pubblica utilità. Già dal 1923 si pensò che questi lavori dovessero consistere nella completa eliminazione delle vecchie mura cittadine. Il coraggio, la tenacia e la preparazione di un ingegnere dell’epoca, Cesare Selvelli, permisero che lo scempio non venisse compiuto integralmente. Alle prime rimostranze dell’illustre nostro concittadino, “iniziò così  l’aggressione autoritaria per ottenere quegli spazi ripuliti a favore di alcuni grossi costruttori, contro un ingegnere che, come membro della commissione per i monumenti della provincia, avrebbe potuto opporsi. Anche un umile armaiolo, un bottegaio fanese, un “indignato speciale” dell’epoca,  si rifiutò di vendere l’esplosivo per la demolizione, con suo personale danno economico, tanto da meritarsi l’encomio del vicepresidente del Senato Regio dell’epoca.

Sono passati quasi 90 anni, ma ci sembra di vivere in un film molto simile, infatti la Sovrintendenza delle Marche definisce la scoperta del teatro romano a Fano come la più importante scoperta degli ultimi anni nella regione, eppure, ancora si riflette sul da farsi, riguardo ad appartamenti devastanti sull’opera. La semplice logica vorrebbe che si espropriasse l’area per liberarla e valorizzarla, la possibilità di farlo mediante fondi europei come afferma il conte Bracci, oppure rimandare qualsiasi intervento, aspettando tempi migliori. Senza speculazioni in periferia, permute strane, perdita di beni storici che appartengono non solo a tutti i cittadini, ma all’umanità intera. Non vogliamo che questa giunta sia ricordata come la giunta del fare … danni, come la giunta Carnaroli con il chiostro dell’ex caserma Montevecchio, inglobata vergognosamente in un condominio nuovo, che poggia i suoi pilastri in cemento armato in mezzo ai reperti archeologici.

Fonti:

Cesare Selvelli, “Remoti e Lontani”, edizioni Liocorno – Milano, 1962

Paolo Venturelli, articolo de “La Moretta”, mensile, Anno 4, n°3, luglio 2005.

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