Nonostante la crisi economica che erode il potere d’acquisto delle famiglie fanesi e la tanto sbandierata revisione di spesa, il Comune di Fano sa ancora essere decisamente molto generoso. Ma ovviamente non con tutti, soltanto con una strettissima cerchia di dirigenti. Una manciata di super fortunati, spesso selezionata con criteri fiduciari, che per incassare lauti stipendi non ha neppure dovuto affrontare la fatica di vincere un concorso pubblico. Sul conto corrente di questi fortunati, oltre a uno stipendio che i più neppure si sognano, il Comune recapita ogni anno la “paghetta” di produttività. Uno scherzetto che costa ai cittadini circa 70.000 euro l’anno, quasi mezzo milione di euro da quando Aguzzi si è insediato sulla poltrona di Sindaco. Nulla di illegale per carità, se non fosse che spulciando i documenti del Comune ci appare chiaro che questi dirigenti non abbiano ancora ben compreso quale sia il loro lavoro. Giusto per fare un esempio elementare: il compito dei Dirigenti è appunto quello di dirigere i propri dipendenti, assegnando loro i carichi di lavoro e distinguendo a fine anno il “grano dalla pula”, ossia valutando il rendimento dei dipendenti di modo che gli sfaticati non siano confusi con i volenterosi. Dopo anni passati a sentir parlare di meritocrazia la daremmo per scontata. Peccato che i dirigenti di Fano non ne siano informati, visto che dal 2007, in spregio alle regole a al comune buon senso, omettono sistematicamente di valutare i proprio dipendenti. Anche per ovviare a questa mancanza, da qualche anno il Comune ha a libro paga un professionista esterno che si occupa del ciclo di valutazione della performance. Professionista che ovviamente non lavora gratis, e che pesa alle tasche dei fanesi per ulteriori 12.000 euro l’anno. Tutto risolto verrebbe da pensare. Spiacente deludervi. Nonostante le decine di migliaia di euro spesi non c’è proprio verso di convincere i Dirigenti ad effettuare le valutazioni. Da alcune fonti sembra che, forse, saranno pronte per il 2013. Ma l’utilità della valutazione è quella di eliminare subito storture ed errori. A che serve anni dopo? Ci permettiamo quindi di dare anche noi qualche piccolo consiglio all’amministrazione, per di più gratis. Visti i risultati finora prodotti e nella necessità di stringere la cinghia, ci pare sia il caso di rinunciare seduta stante al professionista esterno e alla luce delle reiterate inadempienze dei dirigenti ci sembrerebbe sacrosanto trattener loro almeno la “paghetta” di produttività. Si risparmierebbero in tal modo ben 80.000 euro l’anno, destinabili, ad esempio, a riempire qualche buca o ad aiutare qualche famiglia in difficoltà. Noi almeno faremmo così.
Alle giuste osservazioni di Hadar vorrei aggiungere le mie sull’efficienza degli enti pubblici. Fiduciario significa forse nepotistico ?
Provare a migliorare non costa nulla. Oltre alla sostanza del servizio anche la forma (il modo in cui esso viene svolto) ha molta importanza. Alcuni disservizi che non hanno giustificazione alcuna possono essere eliminati con decisioni chiare, convincenti e veloci da parte dei responsabili di settore/reparto/ufficio (dirigenti?) a tutto vantaggio della funzionalità del servizio e del benessere generale. Ma vediamo dove si potrebbe cominciare per non cadere nel vago. Facciamo un giretto all’interno di un ente pubblico, quello forse più noto alla gente comune: un ospedale. Mi è capitato tempo fa di dovermi recare in uno di essi. Chi ha avuto occasione di visitare aziende ben gestite sa che la qualità della gestione può essere facilmente desunta dal modo in cui si è ricevuti (reception). Anche nel caso in esame il principio viene rispettato. All’ingresso troviamo un piccola costruzione in muratura dall’aspetto squallido, all’interno della quale, oltre ad una quantità di annunci di ogni genere appiccicati alle pareti, regna un costante chiacchiericcio che giunge all’esterno attraverso un finestrino, dal quale fa capolino di tanto in tanto il busto di una persona che dovrebbe essere il o la receptionist, o portinaio/a che dir si voglia. Il condizionale è d’obbligo perché il loro aspetto trasandato ed il modo di porsi a chi si ferma per chiedere informazioni non li qualifica come tali, almeno non in una struttura moderna ed efficiente. Manca solo l’odore di minestrone o di cavoli di certe portinerie rionali per completare il quadro desolante. Ma procediamo. Una fila di automobili è parcheggiata in divieto lungo il viale che porta ai diversi reparti. C’è un parcheggio esterno assai ampio, ma dista ben cento metri dall’ingresso dell’ospedale; decisamente troppo lontano. La segnaletica, carente ed approssimativa sia all’esterno che all’interno dei reparti, riflette il costume nazionale che ha in uggia questi dettagli. Una considerevole percentuale del personale, in particolar modo quello infermieristico e più giovane, non dà molta importanza all’aspetto del proprio abito da lavoro, forse a causa del detto che non è l’abito che fa il monaco. Lavaggio e stiratura con la necessaria frequenza appartengono ad un tempo che fu. Lo stesso vale per barba e capelli, anche tra i medici e dirigenti, alcuni dei quali ostentano un aspetto vagamente bohemien. L’accettazione di certi canoni non viene spontanea nemmeno in un luogo che ha nell’igiene il primo comandamento. Andiamo oltre e arriviamo al luogo dell’appuntamento per una visita specialistica. C’è un gruppo di persone che aspetta che qualcuno, medico o infermiera, si faccia vivo. Poi arriva lo specialista, con quasi mezz’ora di ritardo. Sicuramente non succede tutti i giorni ma non sono infrequenti le chiamate urgenti (?) poco prima che certi specialisti prendano servizio negli ambulatori ASL. Fuori fa freddo, i caloriferi scottano e la finestra nel corridoio è aperta. Perché mai ? Fa troppo caldo. Non si potrebbe regolare la temperatura ? Dopo la visita vado in direzione amministrativa (dove il fumo di sigaretta ha impregnato l’ambiente nonostante il divieto in vigore) e chiedo all’impiegato, che esibisce una barba lunga di tre giorni, come mai nessuno si preoccupi dello spreco di calore e, quindi, denaro pubblico. Risposta: “non è qui che si deve rivolgere ma alla manutenzione”. Atteggiamento disarmante. Non gli rispondo che credevo di aver fatto il mio dovere segnalando il guasto, e nemmeno gli dico che non dovrebbe fumare in ufficio, è chiaro che ci esprimiamo su frequenze differenti ed ogni tentativo di intendersi è vano. Lo lascio e vado a trovare un amico ricoverato in medicina. In quel reparto un cartello raccomanda ai degenti ed ai visitatori di non usare il cellulare nelle corsie. Sembra fatto apposta per invitarli al contrario, ed infatti i visitatori non si fanno scrupolo di usare il cellulare, con stupefacente naturalezza . Il mio amico chiama un’infermiera perché quel vociare da mercato abbia fine. L’infermiera invita timidamente i presenti a non usare il cellulare ed abbassare la voce; quando esce tutto torna come prima. Lascio il reparto e mi dirigo verso la porta che dà all’esterno e che si dovrebbe richiudere automaticamente dopo il mio passaggio. Noto che viene invece tenuta aperta da un piede che dall’esterno prontamente si infila tra i due battenti dopo chi è uscito per ultimo per consentire ad un gruppo di visitatori di usare abusivamente quella uscita come ingresso. Un’infermiera li richiama ma viene apostrofata in modo volgare ed offensivo. Un medico che assiste alla scena non interviene e si defila (dirigente?). Sto lasciando l’edificio e mi imbatto in un gruppo di persone in attesa di un appuntamento specialistico; stanno protestando perché l’impiegato è occupato da troppo tempo nella ricerca di un ginecologo-femmina nei vari ospedali della provincia perché un marocchino non accetta che un ginecologo-maschio del poliambulatorio visiti sua moglie. Sembra ci siano valide ragioni pure per assurdità di questo tipo. Procedo verso l’uscita. Un’auto parcheggiata male costringe una giovane donna con passeggino e bambino a scendere dal marciapiede sulla strada. Anche ciò fa parte della coreografia e probabilmente ha una sua ragion d’essere, che però mi sfugge. In questo come in altri enti pubblici ci si illude che l’eccellenza sia rappresentata dalla presenza di singoli luminari o supermanagers e si ignora che essa, l’eccellenza, va invece ricercata nel lavoro quotidiano di ognuno, che dovrebbe sapere ciò che deve fare e di doverlo fare al meglio, senza inutili discussioni e costose perdite di tempo. Forse questa è una concezione d’altri tempi, che mal si concilia con quella “progressista” che all’insegna dell’uguaglianza garantisce tutto a tutti a prescindere. Anche dall’equità e dal senso del dovere, che come pochi altri atteggiamenti garantiscono reale, effettivo progresso sociale.
ica per caso nepotistico ?
Tutto quello che ha scritto, è da imputare non soltanto alla qualità dei dipendenti pubblici, ma soprattutto al grado di educazione civica della popolazione tutta.
Mi sono trasferita a Fano dalla lombardia che, detto a margine, non è certamente una buona presentazione in questo momento, però sono stata educata con metodi antichi e leggere queste pagine mi disgusta non poco.
Così come mi disgusta uno dei miei dirimpettai che regolarmente parcheggia la sua auto nella zona riservata ai portatori di handicap. Perchè lo fa visto che possiede un garage? Perchè è proprio li davanti al suo cancello per raggiungere il quale cammina senza problemi sull’aiuoletta di due mtquadri, circumnavigare la quale richiederebbe esattamente quattro passi in più. Con così tanto esempio come verrano su i suoi due figli?
Sconfortante. Come stupirsi se poi il malcostume peggiora salendo i gradini della scala sociale?
Signora Marisa ,
ho elencato delle situazioni reali per essere concreto.E’ arcinoto che tutto dipende solo da noi; che se le cose vanno male dobbiamo ringraziare solo noi stessi. Ma è proprio perché le cose non vanno sempre per il verso giusto che si è provveduto a creare delle figure che hanno il compito di indicare dei comportamenti non offensivi del vivere sociale e prendere poi i provvedimenti del caso. Si chiamino essi dirigenti,capi servizio o direttori, responsabili di quartiere, vigili urbani, educatori poco importa; quelle figure non sono solo dei tecnici, hanno una funzione etica, specie in ambito pubblico, che travalica le loro funzioni specifiche e non ammette di rifugiarsi nel proprio orticello. Questo è il male peggiore: chi ha la facoltà e l’autorità morale di intervenire non lo fa; preferisce non immischiarsi; è troppo pigro o non vuole esporsi; diventa corresponsabile di comportamenti altamente diseducativi. Chiamiamo le cose con il loro nome: mancanza di senso civico e di responsabilità. Il vicequestore di Pesaro ha detto qualche tempo fa ad un giornale che ci stiamo meridionalizzando. Noti che lui faceva presente di essere di Caserta. Penso che questo possa bastare. Ma la gente ama credere che la Fano dei Cesari ed il Carnevale di Fano (il più vecchio d’Italia!Però!) meritino più attenzione e considerazione del convivere civile, dell’ordine e della disciplina, concetti ritenuti neofascisti, che vanno quindi aborriti, ma che servono quale utile alibi a tanta gente che ruba lo stipendio, elargito con i soldi dei contribuenti. Infine non dimentichiamo che ci sono dei responsabili che si chiamano sindaco, direttore di area sanitaria, direttore della polizia urbana,e chi più ne ha più ne metta. Che facciano ciò che compete loro con il rigore che la funzione impone.
Ma io concordo con tutto quello che ha scritto, caro signor Renato, volevo soltanto rimarcare che forse dovremmo cambiare noi, o molti di noi. Cambiare nell’amore per l’ambiente, per i giovani, per la legalità.
Sarà possibile? Sono vecchia e ormai ho perso quasi tutte le speranze. Sa quando avevo sei anni Milano era ancora una città in cui si poteva respirare e non è un eufemismo. Quando per motivi familiari ci siamo trasferiti qui, a Milano respirare significava tossire e non scherzo purtroppo.
La mia paura è che anche in questa cittadina graziata dal vento, che quasi giornalmente ne ripulisce l’aria, diventi gradatamente molto simile a quello che ho lasciato. Ho divagato come al solito, mi capita spesso con il passare degli anni.
Per quanto rigurda il settore pubblico, non ho soluzioni in tasca anche perchè il mio unico potere è il voto, che spero di utilizzare al meglio.
Mi auguro che i ragazzi del movimento siano forti e immuni al canto delle sirene che vivono nei palazzi del potere e che siano in grado di cambiare sin dal basso le regole che permettono tutto il malcostume che lei ha descritto.