Ieri a Carloni dev’essere andata la Sovraintendenza di traverso, così che dopo aver preso carta e penna e gridato ai giornali il proprio sdegno ora minaccia di ricorrere al Consiglio Regionale, a tutti i Deputati e Senatori marchigiani e persino al Presidente del Consiglio Enrico Letta. Che al solo pensiero di poter finalmente conoscere Mirco Carloni, immaginiamo, non stia più nella pelle.
Sintetizzando le ragioni di una polemica al solito senza capo né coda, al povero Carloni, che evidentemente già si considera il Sindaco in pectore della città, non va proprio giù che la Sovraintendenza ai beni architettonici e paesaggistici faccia il proprio dovere, evidentemente. E ancora di più non riesce a digerire la figura di un sovraintendente che anziché assecondare prono i desiderata dei poteri forti della città, faccia con scrupolo e rispetto delle leggi il proprio dovere, che è appunto quello di sovraintendere alla conservazione del patrimonio collettivo dei cittadini talvolta minacciato dall’interesse di pochi.
A proposito della strada della barche e del secondo casello dell’Autostrada c’è poi da dire che Carloni s’è svegliato con mesi di ritardo, per cui è lecito supporre che la cosa non gli stia troppo a cuore. Nei due casi in questione, leggi e vincoli paesaggistici e naturalistici non possono essere calpestati a piacimento. Ciò non significa che le azioni non vadano intraprese, ma in una visione di salvaguardia, quella sì. E in tantissime città questo viene fatto, non rinunciando alla crescita equilibrata e rispettosa. A Fano, invece, troppe volte abbiamo visto realizzare scempi in nome dello sviluppo a tutti i costi. In questa storia spiace soltanto per gli esercenti di Piazza XX settembre, che purtroppo, a quanto pare, dovranno rifare daccapo gli arredi esterni. Ma la responsabilità non è certo della sovraintendenza, quanto piuttosto della Giunta Aguzzi. Ogni problema si sarebbe infatti evitato adottando per tempo un valido regolamento d’arredo urbano. Ma pianificare non è evidentemente il pezzo forte dei nostri politici, che hanno l’abitudine d’esser causa del male di cui poi accusano il medico.