Chiarezza definitiva sulle sorti del Santa Croce, al centro di insistenti voci su ulteriori spoliazioni. Un mio atto ispettivo, appena depositato in consiglio regionale, incalza la giunta per sapere se intenda privare l’ospedale fanese di altri reparti e altri servizi.
L’interrogazione raccoglie l’allarme del sindaco Massimo Seri, che in un’intervista rilasciata ai media ha detto di autorevoli indiscrezioni sul possibile trasferimento di gastroenterologia dal Santa Croce all’ospedale San Salvatore di Pesaro, dopo l’estate prossima. Prospettiva che esporrebbe al rischio di un effetto domino perverso (la potenziale perdita anche di pneumologia, neurologia e stroke unit), prefigurando “l’inizio della fine” per il nosocomio fanese.
Tutto ciò accade mentre la giunta regionale presenta un piano socio-sanitario di assoluta indeterminatezza, mancando di orizzonte programmatico e visione strategica, oltre che delle coordinate utili a dissipare i dubbi su ripartizione e implementazione sia dei reparti sia dei servizi ospedalieri.
E dire che sono attese risposte dirimenti su questioni strategiche, sottolineate di recente, sempre sui media, dal vescovo di Fano, Armando Trasarti. Pur lodando la professionalità degli operatori, il presule ha evidenziato carenza sia di risorse sia di posti letto e il progressivo smantellamento del Santa Croce, simboleggiato dalla chiusura di un fiore all’occhiello a livello nazionale come ortopedia.
Segnali preoccupanti rispetto all’esigenza pressante di garantire la funzionalità dell’ospedale fanese, a partire dal pronto soccorso che deve essere supportato da un’adeguata presenza di reparti. Si è ancora in attesa di sapere dalla giunta regionale che cosa ne sarà dei 50 posti letto per acuti, mai attivati da quando sono stati previsti nel 2018, nonostante il consiglio comunale fanese abbia indicato di assegnarli al Santa Croce (contrario il centrodestra locale). L’ambigua incertezza dell’amministrazione marchigiana insiste su una provincia che ha il più basso numero di posti letto in regione e la più alta incidenza sulla mobilità passiva, con un costo superiore ai 40 milioni all’anno.